Atto primo

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Reggia di Baldassare.



Scena prima
Principi e Grandi del regno, poi Zambri

Coro
Di Babilonia i popoli
cantino questo dì,
in cui de’ suoi nemici
trionfa il Re così.
Qual inatteso fulmine
giunser le nostre schiere;
e l’armi e le bandiere
al Perso vil predarono,
che in faccia a lor fuggì.

Zambri
Sì de’ Persi il vano orgoglio
nostro brando in campo ha estinto;
ed a Ciro oppresso e vinto
figlio e sposa oggi rapì.

Coro
Viva il monarca invitto,
che dall’eccelso trono
della vittoria al suono
trionfa in questo dì.

Zambri
Ma pietà che il Re consiglia
di salvezza a ognun fa dono
e destina al proprio trono
chi la destra a Ciro unì.
Plaudite, amici: il lieto giorno è questo,
in cui del Re la gloria
splende per ogni intorno.
Fino all’età remote
n’andranno i suoi trofei;
ed i nemici rei
confusi ed avviliti
lungi da queste mura
porteran l’armi di rossor dipinte,
e le falangi debellate e vinte.
Mentre credea de’ Persi il Re superbo
abbatter quest’impero,
già smarrito ed oppresso
lascia vittima ei stesso
del valor nostro il figlio e la consorte,
cui di grand’alma in pegno
offre il Re nostro e libertade e regno.




Scena seconda
Baldassare con guardie, Amira, Argene e detti

Baldassare
E’ questi, o Principessa, il pensier mio.
Te, che dovrei di ceppi
stringer e di catene
voglio che in dolce imene
al talamo regal congiunga amore.
E scordando che fosti
sposa del mio nemico,
poiché bella ti scorgo e di me degna,
mostrando ai Persi quanto grande io sono,
t’offro di ferri in vece il core e il trono.

Amira
Grata, signore, al tuo gran cor non posso
quanto m’offri accettar. La patria, Ciro,
al mio pensier presenti,
di figlia e di consorte
mi richiaman gli affetti;
né a scorno lor potrei
tradire i dover miei.
Ché se così ti piace
cingimi pur di barbare ritorte,
ch’io di mia trista sorte
piangendo fra me stessa
soffrirò senza pena
l’orribil prigionia fra queste mura,
e il Cielo incolperò di mia sventura.

Baldassare
Dunque potrai sì altera
sprezzar la mia clemenza?

Amira
In te ravviso
non clemente monarca, ma feroce
vincitor, che superbo
della vittoria sua coglie ogni frutto;
né curando in altrui
i legami d’amor, di patria fede,
altra gloria non vede,
che quella di voler quanto gli piace.

Baldassare
Frena qual labbro omai, femmina audace.
T’arrendi: alfin dipende
dal mio voler tua sorte;
potria costarti morte
un disprezzato amor.

Amira
Sprezzo l’offerto soglio,
e l’amor tuo m’irrita:
perder saprò la vita,
ma non tradir l’onor.

Baldassare
Il tuo rifiuto, ingrata,
d’ira m’accende il petto.

Amira
No sa cangiar d’affetto
quand’è costante un cor.

Baldassare
Trema.

Amira
Minacci in vano.

Baldassare
Pensa qual son, qual sei.

Amira
Tutti gli affetti miei
son volti a Ciro ancor.

Baldassare
(Vorrei punir la perfida,
fiaccar l’orgoglio insano,
ma frena il cor, la mano
la vaga sua beltà.)

Amira
(L’ira, il furor del perfido
vincermi non sapranno,
combatton nel tiranno
amor e crudeltà.)

Baldassare
Stanco di tue ripulse alfin son io.
Fa’ che sul labbro audace
mai più non oda del nemico il suono.
Se di ragion capace
è quel tuo cor, pensa che in Babilonia
contro te, mia nemica e schiava mia
scagliarsi il mio furor ancor potria.
Quivi invano il tuo Ciro
tenta di penetrar: chiuso ogni passo
le mura impenetrabili di Belo
ne guardano l’accesso;
e s’egli osasse ancora
tentar l’arduo recinto,
dato sol ti saria vederlo estinto.
Cangia consiglio, Amira: il nuovo giorno
mia sposa ti rivegga;
(a Zambri ed alle guardie)
E voi frattanto
il tempio e il gran convito
ite a dispor dell’imeneo sovrano.
(parte)

Amira
No, non fia mai, te ne lusinghi in vano.
Deh! vieni, amata Argene, a questo seno:
in te sola poss’io
sperar qualche conforto al dolor mio.

Argene
Misera Principessa! io pur vorrei,
né so trarti d’affanno:
comune a entrambi è la crudel sventura;
ed io fin da’ prim’anni
al tuo destin unita,
io, che passai la vita
a te sempre fedel, io tutta sento
la forza del tuo duol; ma la costanza
e la virtude che in tuo cuor risiede
forse otterrà dal Ciel qualche mercede.

Amira
Sì costante son io: di Ciro sposa,
sposa a Ciro morrò. Frema il tiranno.
Non sa temer quest’alma;
ed anche a morte in faccia,
in faccia al Re nemico
fin ch’io vivo e respiro
ripeterò che è questo cor di Ciro;
Ma il caro figlio, Argene,
ricerca per pietà: teco l’adduci
alle mie stanze, ove t’attendo in breve.
Il suo gentil sembiante,
il piacevol suo dir, tu ben lo sai,
dan tregua ai mali miei.

Argene
Tosto il vedrai.

(Parte Amira.)

Oh quanto mai compiango
l’infelice suo stato! A che ne giova
il nascer grandi, se d’ogni altri al paro
il destino crudel di noi fa gioco?
In questo odiato loco
trovassi almeno il conosciuto Arbace.
Ei nacque in Persia, e’l Thauristano un giorno
fu patria a entrambi.
Chi sa?.. forse potria
in sì dubbioso stato
qualcha aita recarci in tante pene.
Ma alcun s’appressa... è desso... Arbace!




Scena terza
Arbace e detta

Arbace
Argene!
Come tu quivi? In questa reggia forse
con la sposa di Ciro...

Argene
Appunto’ oggi dell’armi
il destino crudel entrambi trasse
qui prigioniere.

Arbace
Oh quanto debbo a questa
sorte per te funesta
s’oggi di rivederti il ben m’è dato!
Forse tra queste mura
a te giovar potrà l’opra d’Arbace,
se men odioso adesso
di quel che un dì ti fui
non sdegna Argene confidarsi a lui.

Argene
Ebben: dunque ti mostra
generoso con noi. Vuol Baldassare
oggi la man d’Amira o la sua morte.
Fedele ella al consorte
disprezza l’amor suo, la man ricusa;
in sì crudel periglio
tu ne presta qual puoi scampo e consiglio.

Arbace
Basta così. Vanne ad Amira, a lei
reca per or conforto e dolce speme.
Della porta maggior la guardia il Prence
a me commise... potrò forse... addio...
Periglioso è l’indugio.
Conoscerai tra poco
quanto per te farò; vedrai che il core
che io serbo in questo petto
meritarsi potea più dolce affetto.
(parte)

Argene
La sua pronta franchezza in me ridesta
qualche lieta speranza...
Ma col figlio si vada
all’amica infelice. Un sì bel core
accresce in me pietà del suo dolore.
(parte)



Esterno delle mura di Babilonia che si vedono in qualche distanza. Da un lato porta di Babilonia e ponte levatoio che mette alla scena. Colline che sono in vista della città: il piano presenta un campo, di cui si vedono i posti avanzati.




Scena quarta
Soldati di Ciro

Coro
Veh come pallido,
d’orror fremente
mesto e dolente
s’avanza il Re!

Ciro
Ciro infelice! ove t’aggiri, e dove
cerca in vano il tuo cor gli amati oggetti!..
Cruda sorte dell’armi!
Perché morte non darmi
pria che togliermi il figlio e la consorte?
Muto deserto è il campo... e l’eco stessa
sembra commossa al mio dolore,... Oh Dio!
rispondere piangendo al pianto mio...
Ma voi, mura spietate,
voi chiudeste di me la miglior parte!
Abbatterovvi, il giuro; e questo brando
sprezzando ogni periglio
salvar saprà tra poco e sposa e figlio.
Ahi! come il mio dolor,
come calmar potrò?
Misero, che farò
senza la sposa?..
Perché, destin crudel,
tormi il figlio, perché,
né dar piuttosto a me
barbara morte?..
Alla vendetta, all’armi
sdegno m’infiamma e gloria;
predice a me vittoria
lo stesso mio dolor.
Brama sangue il core, il brando
cerca già gli odiati petti...
Ma pensando ai cari oggetti
torna il core a vacillar.

Coro
Bando, o Ciro, ai mesti affetti,
solo pensa a trionfar.
All’armi, alla vendetta
seguendo i passi tuoi,
o tutti morrem noi,
o vincerai, signor.

Ciro
Non più miei fidi: il mio furor non soffre
indugio alcun. S’apprestino le schiere,
e i duci in questo loco,
pria che notte s’innoltri, abbiano il campo.
Il nuovo sol ci vegga
tentar l’assalto alle nemiche mura.
Già coprir la pianura
di Dario le falangi. Egli s’avanza
pronto al nostro soccorso, e forse meco
alla gloria dell’armi unir potrassi,
o seguirà di mie vittorie i passi...
(cada il ponte levatoio e sorte Arbace dalla porta della città)
Ma dall’ostil recinto
qua volger sembra un uom solingo il piede...
Perso rassembra al manto
ond’ha la faccia involta...
Chi sei? Che chiedi tu?




Scena quinta
Arbace, involto in manto alla persiana, e detto

Arbace
Ciro, m’ascolta:
Io nacqui in Persia, e giovinetto ancora
vidi la reggia tua. L’ingrata Argene
là conobbi ed amai.
Poi col padre n’andai
tra l’armi assire, e di quel Re possente
or servo appresso il trono.
Comando a mille fanti, e Arbace sono.
So che’l destin nemico...
e la tua sposa, e’l figlio, e de’ tuoi molti
prigionieri condusse in Babilonia;
Argene stessa io vidi, e quell’aspetto
tornò l’antico affetto
a ricercarmi il cor: se tu non sdegni
di cedere al consiglio e all’opra mia,
t’additerò la via
sicura al tuo trionfo; e figlio e sposa...

Ciro
Non preseguire, o Duce: il mio valore
abbatterà que’ muri, e in brevi istanti
salir vedrai della città nemica
sull’ardue torri le persiane insegne;
ma se pietà verace
ti muove il cor, o Arbace...
della sposa e del figlio, ambo infelici,
qual è il misero stato or tu mi dici.

Arbace
Vuol Baldassar che Amira
te scordando, o signor, con nuovo imene
a lui dia man di sposa. Ella ricusa;
ma il Re crudel morte minaccia, e forse
affrettarla potria se tu con l’armi
tentassi a danno suo novelle imprese.

Ciro
Oh Cielo, ove s’intese
più barbara perfidia?

Arbace
In me t’affida:
Vieni, o signor, in più remoto loco.
T’additerò come ottener potrai
più sicuro l’intento.
Soffri un istante ancora,
ché l’affrettar talora
periglioso diviene; e la vendetta
che il consiglio matura
quanto più tarda cade è più sicura.
Avrai tu pur vendetta,
ma cauto ad ogni evento
pensa che un sol momento
può tutto rovesciar.
Così leone immoto
nel suo furor s’arresta,
poi mostra più funesta
l’ira che tardi appar.

Ciro
T’ascolterò ma qual crudel contrasto
di dubbiezza e timor l’alma avvelena!..
Sortirne omai desio!
Vieni, mi siegui.

Arbace
Andiam, teco son io.
(Partono.)



Reggia di Baldassare.


Scena sesta
Baldassare con guardie

Baldassare
Impossibil mi par che tal costanza
superar non si possa; in fin ciascuno
qua piegar deve al mio voler! se ancora
ceder non vuole Amira
a chi il suo cor desira,
a un Re che gli offre e libertade e trono,
pensar degg’io ch’altra ragion l’astringa
a simile rifiuto;
ma se non cede alfine
l’indegna a’ cenni miei
com’io sappia punir vedrà costei.




Scena settima
Zambri e detto

Zambri
Signore, a te dal campo
il persiano monarca un messo invia
che parlarti desia;
parvemi a detti suoi che tregua e pace
offrirti voglia: agli atti, al portamento
uom sembra d’alto affar.

Baldassare
Forsi di Ciro
la sposa e il figlio chiederà costui,
li chiegga pure: a lui,
purché lungi ritragga
l’armi da queste mura il Perso duce,
il figlio renderò, ma resti Amira:
Ella è cara al mio core: e se’l Persiano
pensa toglierla a me, lo spera invano.
Si vada alla gran sala: il messaggiero
colà me guida a noi.

Zambri
Ubbidisco signor a’ cenni tuoi.
(Partono.)




Scena ottava
Arbace solo

Arbace
Ordita è la gran trama; e Ciro istesso
potrà stringere al sen figlio e consorte.
Entro di queste porte
io l’introdussi; e se il pensato inganno
protegge il ciel, forse potrò fin poco
trarlo d’affanno, e scioglier le catene
de’ prigionieri e dell’amata Argene.
Allor sperar mi lice,
che sol per me felice,
paghi farà i miei voti;
e questo cor, che solo amor le chiede,
avrà dell’opra sua degna mercede.
(parte)



Gran sala d’udienza con trono.



Scena nona
Baldassare circondato da guardie e Grandi, poi Zambri, introducendo Ciro in abito d’ambasciatore con seguito

Zambri
Ecco il persiano ambasciator.

Baldassare
T’avanza.

Ciro
Ciro salute a Baldassare invia,
e pace se gli aggrada.

Baldassare
Io bramo pace.
Ma quali i patti son?

Ciro
Da Babilonia
lungi n’andran sue schiere:
Le genti prigioniere
a te rendrà la Persia, e l’armi sue
sgombreran la Caldea:
Pace sarà tra il Perso e’l rege assiro.
Solo ti chiede Ciro
il suo figlio e la sposa: egli di guerra
il dritto orrendo a sostener non uso
t’offre, o Re, questi patti.

Baldassare
Io li ricuso.
S’inganna il tuo signor se pensa mai
ch’io tema l’armi sue.
S’egli da queste mura
lungi ritira il campo, e dal mio regno,
i prigionieri in pegno
di pace ed amistade, e il figlio io rendo;
ma a tal viltà non scendo
di rilasciare Amira...

Ciro
Ebben: paventa.
Vedrai di sangue e morte
scorrer queste contrade e i regni tuoi;
atre stragi e ruine
spargeremo dovunque...

Baldassare
Olà, ti frena,
ambasciator; tu stanchi il soffrir mio.

Ciro
Egli è Ciro che parla, e non son io.

Baldassare
Se ti cal del tuo Re, tenta pittosto
piegar il cuor d’Amira ai voler miei.
S’ella resite ancora
dovrà subire inevitabil morte.
Da sì funesta sorte
tu ritrarla potresti: in questo giorno
ella per tuo consiglio
a me porga la mano,
e tutto a te concedo e al tuo sovrano.

Ciro
(L’inganno mi giovi.) Ebben, signore;
tentar saprò quanto m’imponi.
(Almeno la rivedrò così.)

Baldassare
Zambri, qua venga
la Principessa tosto.

Zambri
Ella s’appressa.

Ciro
(Che momento crudel!... eccola... è dessa.)




Scena decima
Amira e detti

Amira
Cielo! che vedo mai!... sogno! qua Ciro...

Ciro
Qua Ciro ambasciator me stesso invia:
di te saper desia,
dell’amato Cambise;
e molte cose e molte a te, Regina,
svelar degg’io per cenno suo, se pure
nol divieta il monarca a noi presente.

Amira
(Io non so s’io m’inganno, o s’egli mente.)
Ebben, digli ch’io l’amo...
e che il figlio infelice...
rammentandomi il dolce suo sembiante,
tempra talor il duol di questo core;
Ma tu mi svela i sensi tuoi... che tardi?..
Deh! per pietà favella
di lui... di te... dell’amor tuo... che dice!
Ah! no, taci... mi fuggi...
il tuo aspetto... il tuo dir... timor m’infonde,
e quest’alma si perde e si confonde.
Vorrei veder lo sposo,
stringerlo al sen vorrei,
ma ancor de’ voti miei
non sente il Ciel pietà.

Coro
Ti calma, ti consola,
il Ciel si placherà.

Amira
Ah! che spiegar non posso
quello che in petto io sento,
e’l mio crudel tormento,
più grande ognor si fa.

Coro
Deh! ti consola e spera,
che il Ciel si placherà.

Amira
No, più non spero, oh Dio!
Trovar felicità.
Che crudo istante è questo!
Che palpito, che pena!
Tormento più funesto
del mio no non si dà.

Coro
Ti calma, ti consola,
che il Ciel si placherà.

(Amira parte.)




Scena undicesima
Baldassare, Ciro e Zambri

Baldassare
(a Zambri)
L’aspetto mio... la mia presenza vedo
che l’atterrisce... Ambasciator, ti lascio.
Ad Amira potrai
più libero parlar; ma ti rammento
quant’ora imposi a te: di qua non lungi
inosservato intanto i moti, i detti
conoscere potrò.

Ciro
Ti prego, o Sire,
fa che ritorni Amira,
e che’l suo figlio ancora
qui venga per brev’ora:
Tenerezza di madre a’ detti miei
accrescerà vigore.
(A questo seno io stringerò così Cambise almeno.)

Baldassare
E ben, pago sarai.
(ad una guardia che parte, poi torna col figlio)
Amira e il figlio
tosto qui vengan.
(a Zambri)
Sieguimi, in disparte
tutto veder potrem.

Zambri
Ti sieguo.

Ciro
All’arte.
(Baldassare, Zambri e guardie si ritirano, lasciandosi tratto tratto vedere tra le scene.)




Scena dodicesima
Ciro, Amira, e seco una guardia che conduce Cambise e poi parte

Amira
(correndo al figlio che gli vien rilasciato dalla guardia)
Oh caro figlio!.. Oh di quest’alma primo
e più tenero affetto!
Deh vieni a questo petto:
tu sol l’alma sollevi in tanti affanni.

Ciro
Non più... t’allegra Amira. In questo giorno
sposa di Baldassar ti vuole il Cielo.
Dunque tu cedi...

Amira
Io raccapriccio!.. Io gelo!..
Ma dove son io mai?.. Tu pur non sei...
che più di me dovresti
odiar l’empio tiranno? Ah! la mia mente
più non si regge, in tanti dubbi involta.

Ciro
(Né posso dire a lei che il Re ci ascolta?)

Amira
E fia ver, che tu possa
in questo luogo ancora
favellarmi così?..

Ciro
(prendendo tra le braccia il figlio e carezzandolo con tenerezza)
Questo ch’io stringo
tenero pargoletto al seno mio,
questo che tragge il pianto dal mio ciglio
egli è di Ciro pur... egli è tuo figlio.
Tu l’ami, e poi non pensi
ch’ei perirà... se tu resisti...

Amira
Oh Dio!..

Ciro
E perirai tu stessa. Il Re decise
di lui, di te la morte... Or vedi come
la tua crudel costanza
saria cagion di pene e di tormenti
a ognun che t’ama, e quanto
si struggerebbe in pianto
Ciro... il tu sposo istesso,
che perderia la sposa al figlio appresso.

Amira
Ah taci omai, crudel!.. par che tu goda
lacerandomi il cor... in questa guisa
m’insulti e mi deridi!..
Deh! piuttosto m’uccidi
se cambiasti per me l’antico affetto;
ma l’aborrito nodo
d’un tiranno crudele
non vantarmi così... cessa una volta...

Ciro
(Oh Dio! non sa che Baldassar ascolta.)

Amira
No: risoluta io son; e tu spergiuro
di vincer tenti in van la mia costanza.
Se tu più quel non sei,
che degli affetti miei
grata avresti ogni cura, ogni pensiero,
io t’amerò, spietato, anche infedele;
e a tuo rossore eterno,
caro sempre al mio core,
per me tra mille pene e mille guai
tu sposo mio, tu Ciro ognor sara.




Scena tredicesima
Baldassare, Zambri, guardie e detti

Baldassare
Pur ti sorpresi menzognero, audace.
Sotto mentite spoglie in te ravviso
de’ Persi il Re nemico...
Lo spavento d’Amira,
il tuo parlar, il tuo rossor t’accusa.
Fremer d’ira mi sento!
Ma non andrà impunito il traimento.
Guardie. Olà.

Zambri
S’arresti.

Amira e Ciro
Oh Dei!

Baldassare
(a Ciro che mostra volersi difendere)
Quale ardir!

Zambri
A noi t’arrendi.

Baldassare
(mettendo mano alla spada contro Ciro)
Muori alfin: tu Ciro sei.

Zambri
(trattenendo Baldassare)
Deh, signor, l’ire sospendi!

Baldassare
Qua punir degg’io l’indegno.

Zambri
Più non frena il Re lo sdegno.

Tutti
Che fatal orrendo giorno!
Le sue furie a noi d’intorno
l’atro Averno suscitò.

Ciro
Il furor del Re sdegnato
mi ricorda il mio periglio:
per la sposa e per il figlio
quanto, oh Dio, temer dovrò!

Baldassare
(ad Amira)
Per te ancor pietade io sento:
di’ che m’ami, e questo accento
sol può Ciro tuo salvar.

Zambri
Rendi alfin il Re contento:
quest’orribile momento
puoi tu sola ancor cangiar.

Amira
Qual sorpresa!... oimé, qual duolo!
Desolata... disperata...
più non reggo al mio penar.

Ciro
Ah mia sposa!..

Zambri
Cedi, Amira...

Amira
Ho deciso...

Baldassare
Ai ceppi indegno.
(alle guardie che circondano Ciro incatenandolo)

Tutti
Già dell’alme il rio contrasto
sdegno, tema, ardir infonde:
vario affetto si diffonde,
e non ha più pace il cor.

Coro
Tu puoi solo, o Ciel clemente,
render pace in tanto orror.

 

2. Akt Zurück zu: Libretto

Atto secondo ritorna a libretto



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© DRG, 9. Januar 2001