Atto primo

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Deliziosi giardini; da un lato viali ombrosi, statue, fontane, e più botteghe di varie bevande.



Scena prima
G
entiluomini che vanno girando, Madama la Rose e Traversen, indi Alberto, che sopragiungono.


Coro di viaggiatori
Chi cerca il piacere, - chi brama godere,
il mondo che giri - fin quando si può.
Girando conosce - quei tratti cortesi,
che in altri paesi - la moda inventò.
(vanno a seder nei caffè e prendono delle varie bevande)

Alberto
Ho girato il mondo intero,
e non anco ai sguardi miei,
come appunto io la vorrei,
si presenta una beltà;
o lo stral del cieco nume
non ha forza nel mio core,
o ne ha colpa il mio costume
che mai donne amar non sa.

Madama La Rose
Oh sior Alberto - ben ritrovato.

Alberto
Buon dì, Madama.

Madama La Rose
Da noi si brama - che siate ameno.
E con bellissimo - volto sereno
il nostro giubilo - facciam brillar.

Alberto
Per me da ridere - mai non ci sta.

Traversen
Oh ecco il giovine - delle gazzette.

Tutti
Andiamo a leggere - le novità.

Alberto
Io leggerò.

Traversen
Danne una a me.

Coro
Portala qua, - vediam che c’è.

Madama La Rose
No, no, no, no.

Alberto
Io leggo già.

Madama La Rose
Ah no, no, no.

Tutti
Ma cheti olà.
Se ci affolliamo, - se contrastiamo,
mai la gazzetta - si leggerà.

Madama La Rose
Signor Alberto, nemmen per Parigi
voi ritrovata avete
femina che vi piaccia?

Alberto
Sin ora no.

Madama La Rose
Voi siete originale,
per l’Italia, nemmen?

Alberto
Né per Germania,
né per Olanda, e né per tutto il mondo
ho visto un volto amabile e perfetto;
in tutte ci trovai qualche difetto.

Madama La Rose
Vi averebbe una dea
calar dal ciel, a come dite voi,
oh poverette noi con voi altri uomini,
alla critica sempre espeste siamo.

(Vien un giovine con la gazzetta.)

Alberto
Via, leggiamo, leggiamo.
Così fatto son io,
né do conto a nessun del genio mio.

(Leggono la gazzetta.)



Scena seconda
D
on Pomponio in abito ricco e caricato, due lacchè che lo sieguono, detti come sopra


Pomponio
Co’ ‘sta grazia e ‘sta portata,
co’ ‘sto cuorpo curto e tunno,
te stordesco miezo munno,
te guarnesco ‘na cità.
(al lacchè) Tommasì? mo che passeo
vi’ si penno da qua’ lato,
vi’ si il passo è misurato,
vi’ si marcio a la fransè.
(passeggia sulla musica)
Un eroe comme songh’io
nella storia non nce sta.
E mo ch’esce la gazzetta,
a cercareme Lisetta
oh! che folla ha da veni’.
E io a tutte dico sì.
Dico buono, Tommasì?

(Il servo accenna di no.)

Venarrà ‘no franzesotto:
dona a muà madamosella.
Pigliatella.
Mo va buono, Tommasì?

(Servo come sopra.)

Venarrà ‘no spagnolicco:
chiero a ostè la nigna bella
Pigliatella.
Mo te piace, Tommasì?
Venarrà ‘no Calavrese:
la vuoghio io la quatranella.
Pigliatella.
E’n Calabria la faccio i’.
Aje che dirne, Tommasì?
Porzì no? e sa’ che nc’è?
Fuss’acciso, Tommasì.
Il concorso s’è già apierto,
correranno a centinara
franchi, russi, inglesi, ispani,
italiani, otramontani,
e, a tenor di questo invito
chi ‘na mano, chi ‘no dito,
chi ‘na recchia ne vorrà;
ed allor, per dover mio
a quaccuno l’ho da da’;
ca n’eroe comme songh’io
nella storia non ce sta.
Tommasì, mme figuro
ca, ‘nsenti’ la gazzetta,
ha da parlare assaje
l’Europa de me. Vi’ ca la mia
nobiltà mo è arrivata
a se’ grada de neve, e quanno faccio
‘sto matrimonio, se farrà ‘no jaccio.

Madama La Rose
Ah, ah, ah, ah! Mirabile! grazioso,
sentite tutti, il fatto è curioso.
(chiamando altri)

Pomponio
(Ghe’, sentimmo, e mettimmonce ‘ncampana,
mo ammirarranno li talenti miei;
vi’ ca chisti so’ guste singolare.)

Madama La Rose
(ad Alberto)
Leggete.

Alberto
(legge)
«Avviso al pubblico.»

Pomponio
(Mo’ me ne vavo ‘ngroglia.)
(accostandosi più)

Alberto
«E’ arrivato in questa magnifica capitale un forestiere, e...»

Pomponio
(Che songo io, oh che sfizio soprumano!)

Traversen
Va’, dev’essere qualche ciarlatano.

Pomponio
(scostandosi un poco)
(Brutto principio.)

Traversen
Apresso.

Alberto
«Di nazione italiano, di professione ex negoziante, molto ricco, di estesi talenti, di carattere leale, bizzarro e straordinario.»

Traversen
Qualche impostore.

Madama La Rose
Qalche cavadenti.

Alberto
Caminante sarà come vuol lei.

Pomponio
(Songo il muorte vuoste a tutte trei.)

Alberto
«Egli ha una figlia da marito...»

Traversen
Oh curiosa!

Alberto
Zitto.

Pomponio
(Ccà le boleva; mo vene lo doce,
restarranno ‘ncantate.)

Alberto
«Di età giovane, di bellezza passabile,
di grazia mirabile.»

Traversen
Che pazzo!

Madama La Rose
Che animale!

Pomponio
(Oh bennaggi oje.
Manco chesto è incontrato!)

Madama La Rose
Udite il resto delle sorprendenti
qualità, abilità.

Alberto
Zitti ed attenti.
«Statura greca, testa romana, capello castagno, occhio ceruleo, bocca ridente, bei colori, spirito pronto, talento raro e del miglior cor del mondo.»

(Gran risata di tutti.)

Pomponio
(E ‘sta resata mo comme nce cape?)

Alberto
«A norma del partito che s’offrirà sarà la dote; verrà prescelto quello che incontrerà in ogni rapporto più il genio del padre e della figlia, alloggiano all’Aquila: ivi s’indirizzi chi aspira all’acquisto; da questo giorno è aperto il concorso.»

(Altra risata.)

Madama La Rose
Oh che matto!

Traversen
Oh che bestia!

Madama La Rose
Affé, legato
esser meriterebbe.

Traversen
E bastonato.

Pomponio
(Buono ca ccà nisciuno me canosce.)

Alberto
Io poi non ci vedo tante male:
ogn’uno in questo mondo
la pensa come vuole.

Pomponio
(Chillo è ‘no galantommo.)

Traversen
Vo’ informarmi
di questa bestia; quello
degli avvisi il saprà; qua, qua, garzone.

Pomponio
(Oh mmalora, sta ccà lo port’avise.)

(Il garzone dimandato accenna Don Pomponio.)

Miei lacchè, jammoncenne.

Traversen
E’ quello, è quello
l’amico del concorso.

Madama La Rose
Oh caro!

Traversen
Oh bello!

Pomponio
(Vi’ ca da ccà mo mettono la renza!)

Madama La Rose
(Godiamolo.)

Traversen
(Burliamolo.)

Alberto
Prudenza.

Traversen
Mio signore.

Pomponio
Patro’ mio.

Madama La Rose
Me l’inchino.

Pomponio
E porzì io.

Traversen
Siete voi italiano?

Pomponio
Signorsì, napolitano.

Alberto
Domandare i fatti altrui
non mi par ch’è civiltà.

Madama La Rose e Traversen
Ma ci lasci con costui
divertir, per carità.

Pomponio
(Sta a bedè, ch’a tutte duje
mo ‘no punio le do ccà.)

Traversen
Ver ch’avete una gran figlia...

Pomponio
Ch’è l’ottava maraviglia.

Madama La Rose
E in gazzetta lei l’ha posta,
questa eccelsa rarità.

Pomponio
E in gazzetta ll’aggio posta
pe li ciucce fa’ parlà’.

Traversen
Ma a che tanto lodar quella?

Pomponio
Ch’accossì piace a me.

Madama La Rose
Ma fia ver ch’è tanto bella?
Potto vote cchiù de te.

Alberto
Si finisca questa scena,
miei signor, che basta qua.

Madama La Rose e Traversen
Ma se i sposi a cento a cento
gli verranno in un momento,
nel concorso poi di tanti
l’infelice, che farà?

Pomponio
Pe duciente e cchiù mariti
ella ha tutt’i requisiti,
se le ‘nguadia a tutte quante,
e chi vede ha da schiatta’.

Alberto
Ma finiamola la scena,
miei signor, per carità.
(Viano per strade diverse.)


Sala elegante nella locanda di Filippo, corrispondente a varii appartamenti.



Scena terza
Filippo, poi Doralice ed Anselmo


Filippo
Attenti, camerieri,
che giunguno degl’altri forestieri.
(a più venditori di galanterie)
Voi altri, che volete? la signora
ch’oggi sarà sposa? Sta alla toletta.
Or qui usciva. (Invan lo scicco padre
si macera il cervello
per darla a un gran signor; non sa ch’entrambi
noi ci giurammo amor: o colle buone
a me la sposerà,
o l’inganno farà quel che farà.)

Anselmo
Il padron dell’albergo siete voi?

Filippo
Son quello per servirvi!

Anselmo
Preparate due stanze: una a mi figlia,
l’altra per me.

Filippo
Son belle e preparate.

Doralice
Io bramo di restare in libertà.

Filippo
Nessun, signora, l’incomoderà.

Anselmo
Andiam. Del prezzo parleremo poi.
(Entrano Anselmo e Doralice con camerieri.)

Filippo
Non vi sarà da disputar fra noi.
E per tornare a quel che preme a me,
difficile non è che il sior Pomponio
accordi la sua figlia a un locandiere
essendo anch’esso stato un cameriere.
Poi gli lasciò il padron del gran contante,
ed eccolo mercante. La Lisetta
chiaro paleseralle il suo desio,
e s’ella non farà, poi farò io.
Eccola; alò, schieratevi qui bene:
l’amabile Lisetta ora sen viene.



Scena quarta
Lisetta vestita con tutta eleganza

Lisetta
Presto, dico, - avanti, avanti,
che vo’ tutto - ormai comprar.
Le galanti - più brillanti
voglio io sempre - superar.
Sì, son volubile, - son capricciosa,
le mode nobili - solo mi piacciono,
vo’ sempre spendere - per ben goder.
Viva l’amore, - viva il bel tempo,
viva la moda - viva il piacer.

Filippo
Signori, qui lasciate
ciò ch’ella scelse, e io conti preparate.

(Viano i venditori.)

Lisetta
Che ti sembra, Filippo:
ho buon gusto?

Filippo
Tu sei
sempre bella egualmente agl’occhi miei,
oggi sei lieta appien.

Lisetta
Sì, ma se torno
a pesnar che mi espone
sopra i publici fogli il genitore,
rinasce il male umore.

Filippo
Oh, ti consola
ci troverm rimedio.

Lisetta
Chi si avanza?



Scena quinta
Alberto e deti


Alberto
Vi saluto, Filippo.

Filippo
Mio padrone,
quale onor?

Alberto
Vi dirò: sulla gazzetta
lessi un avviso al pubblico.

Filippo
(Ecco il primo.)

Lisetta
(Mi vengono i sudori.)

Alberto
Una ragazza
da maritare, esposta ad un concorso,
che si promette bella, graziosa,
giovine, spiritosa
piena di rarità.

Filippo
(Non l’ha sbagliata!)

Lisetta
(Che pena.)

Alberto
Voi sapete...

Filippo
Io non so nulla.

Alberto
Voi simulate invan... ma ai contrasegni,
la statura, i color, gl’occhi, la testa...

Lisetta
(Oimè!)

Filippo
(Ci siam!)

Alberto
Tutto lo mostra: è questa;
signora, volete essere mi sposa?

Lisetta
(Ah Filippo...)

Filippo
Che cosa dite a quella?
Non è la donna lei della gazzetta,
e a farvene più certo,
ci aggiungo, padron mio,
ch’è maritata, e il sposo suo son io.

Alberto
Domando scusa, io non sapevo niente.

Lisetta
(Filippo rimediò subitamente.)
(Viano Filippo e Lisetta.)

 

Scena sesta
D
oralice, poi Alberto


Doralice
E’ comoda la stanza,
vi è pure un bel balcone, ma chi è questo...

Alberto
(Eccola qua; se quella non è stata,
senz’altro sarà questa, e non mi spiace,
se devo dire il vero.) Signorina,
volete un po’ accordarmi
il piacer di ascoltarmi?

Doralice
Perdonate;
non c’è mio padre.

Alberto
Per l’invito io venni
da lui nella gazzetta.

Doralice
Che invito? che gazzetta?

Alberto
Voi dovreste saperlo. Ad un concorso
per trovarvi un marito egli vi espose.

Doralice
Che sento! E sarà vero?

Alberto
Ella è così.
Non è italiano vostro padre?

Doralice
Sì.

Alberto
Negoziante?

Doralice
Appunto.

Alberto
Non v’è dubbio, voi siete.

Doralice
O me meschina!
Io vo per le gazzette?
Guarda un po’ che cervelle maledette!

Alberto
Se v’offesi domando a voi perdono.

Doralice
Troppo infelice io sono.
(piange)

Alberto
E a che piangete?
Alla fin non è cosa
da piangere l’acquisto d’un marito,
e foss’io quello, ché già innamorato
mi son di voi.

Doralice
Dipendo da mio padre.

Alberto
E s’ei mai vi accordasse
all’ardente amor mio?

Doralice
M’accorderebbe allor quel che desio.
(via)


Scena settima
Alberto, poi Don Pomponio


Alberto
Che strano caso è il mio. Vengo per burla
e mi trovo davver preso d’amore?
Ma ecco in tempo il suo genitore.

Pomponio
Oh che strepito ha fatto la gazzetta
pe’ tutte li cafè! Quante la leggeno
affé ca se smascellano de riso,
e da ciò n’argomento
ca fa ridere a tutte il mio talento.

Alberto
(Coraggio!) Mio padron.

Pomponio
Oh tu si’ stato
cchiù matenante, aje fatto buono assaje
a beni’ primmo che bene la folla;
‘nfra n’auto poco, pe bede’ ‘sta nenna,
ha da correre ccà meza la Senna.

Alberto
Io l’ho veduta.

Pomponio
E che te pare, è cosa
de zucchero?

Alberto
Bellissima, e per questo
vi prego di concederla a me in sposa.

Pomponio
Accossì lesto lesto? M’aje da dire
primmo nomm’e casata,
patria, quant’anne tiene,
addo’ vaje, da do’ viene... vi’, a usanza
de passapuorto.

Alberto
Il mio nome è Alberto...

Pomponio
Alberto? Nome secco!
Non è cosa pe’ figliema ‘sto nomme.

Alberto
Ma che fa il nome?

Pomponio
Comme,
che fa? ave d’ave’ del rimbombante.
Vi’ lo mio comm’è bello e spaziuso?
Pomponio Storione.
Pomponio vo’ di’ Pompa,
e contiene in sé stesso, mano mano,
Pompilio, Pompeo e Pompeiano.

Alberto
Ma un nome...

Pomponio
E sient’appriesso.
Po’ nce sta Storione...

Alberto
Ch’è un buon pesce...

Pomponio
Che pesce e baccalà? Siente... Storione
vene da storia, e chesso
dinota ben che della mia persona
un dì se ne farrà ‘na storiona.

Alberto
(Oh che fanaticaccio!)

Pomponio
Sentimmo mo il casato.

Alberto
De Filippi.

Pomponio
Chi mo? Lo schiattamuorte?
Vattenne, figlio mio,
che mme vuo’ atterra’ figliema?

Alberto
(Oh che asino!
Convien che spaccia anch’io qualche mensogna.)
Ma saper bisogna
ch’io trassi il mio casato
da Filippo il Macedone, che padre
fu d’Alessandro il Grande.

Pomponio
Ah! nc’era tutto chesso, e tu astipato
te lo tenive ‘ncuorpo? Mo non c’aggio
dificoltà, ma devo
porzì parlarn’ a figliema.

Alberto
Poc’anzi
io ci ho parlato, ed è di me contenta.

Pomponio
Embè, simm’a cavallo
va’, miettete llà dinto, e ‘nche te chiammo
jesce, e lle daje la mano.

Alberto
(Or sì che amor non fa sperarmi invano.)
(entra in una stanza)

Pomponio
Oh! le penzate meje songo n’incanto!



Scena ottava
Lisetta, poi Filippo e Doralice in ascolto, indi Alberto dalla stanza e detto

Lisetta
Proviamo un po’ col pianto.

Pomponio
Che d’è, tu chiagne. Uh! uh!

Lisetta
La povera Lisetta
sta dentro alla gazzetta.

Pomponio
Oh figlia mia!
E nc’è cchiù bella cosa?
Appena t’ho stampata
e già t’ho maritata.

Lisetta
(Peggio!)

Filippo
(Oimè, l’ho perduta!)

Doralice
(Non veggo qui quel bel signor ch’io amo.)

Pomponio
Che d’è, non mme rispunne?
Che bo’ di’ ‘sta paturnia intempestiva?

Lisetta
Io maritarmi non intendo affatto
per gazzette e concorsi:
vi dissi, e ve lo rplico,
con vostra buona pace,
che sposa esser volg’io d’un ch’a me piace.

Filippo
(Brava la mia Lisetta.)

Pomponio
Quanno sapraje de chi t’ho fatta sposa
fenarraje de fa’ la vroccolosa!

Lisetta
(Oh che colpo!) Sentiamolo.

Filippo
Or mi perdo.

Pomponio
Con un certo si’ Felippo.

Filippo
(Con me? Oh che contento!)

Lisetta
Ah papà caro caro,
vi abbraccio, vi ringrazio, non vi posso
esprimere il piacer che al cor ne sento.

Pomponio
Lo bi’ mo? Saccio pure
ca nc’aje fatto l’ammore.

Lisetta
E’ vero, è vero.

Filippo
(L’eccesso del piacer mi ha già stordito.)

Pomponio
E’ vero, è vero! O figlia benedetta
tenive chessa abbramma de marito
e mo mme stive a fa’ la sbogliatina.

Lisetta
Ah dov’è il mio Filippo.

Filippo
Son qua...

Pomponio
Non dico a te.
Jesce gue’, tu che staje llà dinto ascoso,
(Esce Alberto.)
Questa è la sposa tua, questo è il tuo sposo.

Lisetta
Questo?

Alberto
Questa?

Filippo
Come?

Doralice
Che?

Pomponio
Chisso, chessa, e mbè, che nc’è?

Tutti
(Già nel capo un giramento
mi cammina lento lento,
e più sordi colpi, e cupi
un sospetto al cor mi dà.)

Lisetta
Voi Filippo avete detto,
or che c’entra quello là?

Pomponio
Te diss’io ca co’ Felippo
appuntato avea lo ‘nchippo
‘e Macedone Felippo?
Tal e quale è chillo llà.

Alberto
Vostra figlia a me promessa
voi avete, or dove sta?

Pomponio
Sissignore, chesta è essa:
pigliatella, eccola llà.

Doralice
Chi gli date? A me il signore
giurò amore e fedeltà.

Pomponio
E ussoria lo bell’umore
si’ benuto a farme ccà?

Alberto
Vostra figlia è maritata.

Pomponio
Maritata?

Alberto
Certamente.
E il suo sposo è quello là.

Pomponio
E chess’auto comme va?

Lisetta
Non conosco che Filippo,
io non amo che Filippo,
io non voglio che Filippo,
e Filippo vo’ sposar.

Filippo
Io non amo che Lisetta,
sol conosco la Lisetta,
bramo sol la mia Lisetta,
e Lisetta mia sarà.

Pomponio
Non avrai tu lo Filippo,
non avrai tu la Lisetta,
‘no cortiello ccà t’azzippo,
te sdellommo sa’, fraschetta,
vi’ che lega che farriano
locadiere e nobiltà!
Signornò, non sia pe’ ditto,
ca ve scanno, v’arroino,
figlia fauza, malantrino,
oje ve tiro a ‘nnabbessa’.

Tutti
Mi par d’esser con la testa
in un’orrida fucina,
ove cresce e mai non resta
un continuo susurrar.
Alternando questo e quello
pesantissimo martello,
che coi colpi d’ogni intorno
fanno l’aria rimbombar.
(viano)



Scena nona
Madama la Rose, poi Doralice, indi Pomponio ed un suo lacché


Madama La Rose
Io in questa locanda
un mese ci ho alloggiata; or sono venuta
per ridere con quel della gazzetta;
verrà pur Traversen,
ch’ancor sel vuol godere;
ma necessario è prima
ch’io mi faccia veder dal locandiere.
(via e torna)

Doralice
Offesa, or sì, da quel signor mi chiamo,
ma non posso negar che ancora l’amo!
Ma son nel dubbio ancora
se m’abbia o no tradita.
Ché quella briga non l’ho ben capita.
Basta, vedremo; il certo
è che amante sono io,
e mi accomodo il tutto a modo mio.
Anche Filippo vuole
ch’io sua sposa mi finga.

Madama La Rose
Signora mia compagna di locanda,
vi riverisco.

Doralice
Serva vostra.

Madama La Rose
Avete volontà di spassarvi un pochettino?

Doralice
Io vorrei, ma non posso; ho altro in testa.

Madama La Rose
Via, spassiamoci un po’, vedete quello
che vien di male umore?
Egli è un viaggiatore.
Si chiama Don Pomponio, e a dirla bella,
è di questa locanda il Pulcinella.

Doralice
Farò quello vi aggrada.

Madama La Rose
Siamo di età che a’ guai non si ci bada.

Pomponio
Tommasì, che ne dici? Io stea facenno
concurze pe’ trovarlo ‘no marito,
e chella già se lo tenea stipato.
Oh che figlia briccona! Che po’ dire,
che al teatro del mondo
io l’abbia messa in scena a ‘sta signora
ca non par che fui io lo butta fora.

Madama La Rose
(Ah, ah!)

Doralice
(Proprio ridicolo!)

Pomponio
Ma mo la servo io comme se deve;
pe’ primmo cchiù i’ non la farò chiammare
Lisetta Storione
ma la sie’ Lisa, l’alloggiamentare.
Pe’’ secunno l’escludo
dalla mia eredità; ed in terzo e ultimo,
ogge mme ‘nzoro, facio un mascolillo,
e chello ch’era sujo sarrà da chillo.

Madama La Rose
(L’avete inteso?)

Doralice
(E’ veramente un zucchero!)

Pomponio
Va’ da lo stampatore
e di’ che lesto lesto
me mette al foglio n’auto manifesto
sientelo, e dimme si nce manca niente.

Madama La Rose
(Or sì che riderem!)

Doralice
(Sicuramente.)

Pomponio
(legge)
«L’istesso mercatante italiano
che invitò intieramente
il popolo de i Galli
per darlo tutto in sposo alla sua figlia,
invita adesso tutte le galline...»
Tu perché ride? vi’ ca si’ ‘no ciuccio?
Tanto è gallina, quanto è francesina.
Galline, avimmo ditto...
«Dal qual sarà prescelta la più grassa
a cui destinera l’alto trofeo
di far con esso un gallico imeneo.»
Va’, zompa, e torna priesto.

Madama La Rose
(Facciamoci vedere.)
(Si fanno avanti.)

Pomponio
E sa’ che trasero,
a ‘sta locanna, de madamuselle
se vedarrà ccà oje,
e essa schiatta... ed eccone ccà doje.
Madame.

Madama La Rose
Vostra serva.

Doralice
Mio padrone.

Pomponio
Gia l’avete saputo, e site corze.
Faciteme ‘na grazia:
chi è zetella, de loro signore?

Madama La Rose
Io no, perché ho marito.

Pomponio
E tu manco, cred’io pe’conseguenza,
ca t’ho bista poc’anzi
là col tuo majo, te si’ fatt’aceto.

Doralice
Ma una cosa è l’amante, altra il marito.

Pomponio
E dunque siamo al caso.
Videte buono primmo ‘l fatto tujo,
acciò po’ appriesso non facimmo chiachiere.
L’anne mieje so’ cinquanta già sonate
ma zompo comm’un lepere, so’ agibile.
Chesso è grasso de colera
e non è rignonata, l’ossa meje
so’ tutte nove, e il sango è ‘no rosolio.
Si fa pe’ tte ‘sto scampolo,
farraje un gran negozio, e prejatenne
si son buo’ farlo di’ bonnì, e battenne.

Doralice
Perché no? Siete voi tanto bellino
che acciecandovi gl’occhi, o mio signore,
vi prenderebbe ognun pel dio d’amore.

Pomponio
Mettimmo a ‘no cantone
le cerimmonie, e dammo al chido.

Madama La Rose
(E’ scaltra la signorina!)

Pomponio
Essenno ch’io mme ‘nzoro
pe’ fa’ ‘na posta a figliema, vorria
fa’ lesto lesto, vuje credo ch’avite
qua’ patre de le vuoste?
O manco lo tenite.

Doralice
L’ho: ma io
fo quel che volgio, e il padre non s’intrica,
vuol sol bere e mangiar senza fatica.

Pomponio
Benedetto pozz’essere,
chisso vo’ campa’ assaje, e già ch’è chesso
vorria spezzolia’.

Doralice
Come s’intende?

Pomponio
E mo ve lo dich’io,
favoriteme un po’ chella manella.

Doralice
Voi siete un viaggiatore?

Pomponio
Per servirla.

Doralice
E la man ci daremo
quando poi giungeremo, per esempio,
nelle contrade persiche.

Pomponio
Gnernò, non boglio perzeca;
io volorria per ora,
preganno a la signora,
un preludio assaggiar del matrimonio.

Doralice
Ecco com’io rispondo al sior Pomponio.
In voi trovato avrei quel che desio
ma non posso, ché il cor non è più mio.
Ah, se spiegar potessi
a voi gli affetti miei,
indegna non sarei
di tenera pietà.
Sappiate... ma che dico!
Io son... ma non mi lice;
spero che un dì felice
il ciel mi renderà.
(via)

Pomponio
A comme m’ha parlato chesta nenna
me figuro ch’è fatta la facenna.

Madama La Rose
(Ci è entrato nella trappola.)

Pomponio
Che faccio?
Me ‘nzoro; e lasso l’unico zampillo
del sango mio dint’a ‘na locanna!
E non direbbe chella sbentorata
«Mi lascisti, e perché? barbaro tata!»

Madama La Rose
(Sta tutto in moto e pensieroso.)



Scena decima
Filippo da dentro e detti


Filippo
Animo, fuori quella biancheria
di Fiandra, ammanetevi
i bucati, spazzate ben le stanze;
vi raccomando tutta la decenza,
che verran passeggier di conseguenza.

Pomponio
Oh mo proprio le voglio
fa’ prova’ cierti pacchere
che comm’a chille non ne magna cchiù.

(Ecco Filippo con camerieri.)

Madama La Rose
(Che sarà che non può mandarla giù!)

Pomponio
Ne’, galantuomo...

Filippo
Adesso...
Va’ di là tu a cambiare quei lettini
e raddoppia i cuscini; pulizia
bramo, e sollecitudine, altrimenti
opro il baston, se non starete attenti.

Pomponio
Ne’, mi’ signo’...

Filippo
Adesso. In ogni stanza
non fate mai l’acqua mancar, cambiatela
in ogni ora, e non fate
aspettarvi, se i passeggier vi chiamano.
Fate il vostro mestiere
con tutta la creanza
andando a visitar spesso la stanza.

Pomponio
Gue’, io a te dico...

Filippo
Adesso. I candelieri
pria che il ciel si fa bruno
sian tutti pronti.

Pomponio
E ccà nce ne sta uno;
dico, ne’, pozzo...

Filippo
Adesso.

Pomponio
Tu ch’adesso
l’arma soja? io adesso
te scannarria, e tu mme dice adesso.

Filippo
E perché? Che v’ho fatto?

Pomponio
Niente, ne’?

Filippo
Niente affatto.

Pomponio
E lo fatto de figliema?.. Jere ommo,
tu, gallotta sporpata,
d’apparenta’ co’ casa Storione.

Madama La Rose
(Or capisco cos’è la quistione.)

Filippo
Mi promettete di star sodo, mentre
io vi parlo con tutta la modestia?

Pomponio
Di’, ca sto sodo.

Filippo
Voi siete una bestia.
Perdonate.

Pomponio
Si serva.

Filippo
Voi credeste
veramente ch’io sposo
ero di vostra figlia?

Pomponio
Lo credette
sicuro.

Filippo
E siete un asino.
Perdonate.

Pomponio
Mme faccio maraviglia.

Filippo
E che la vostra figlia
mi disse ch’io fingessi esserle sposo
per voler vendicarsi
che la metteste dentro alla gazzetta
nemmen lo sapevate?

Pomponio
No!

Filippo
E siete arcibestia.
Perdonate.

Pomponio
Oh! mi onora.

Filippo
E acciò vi accomodate le cervella,
sono ammogliato, e la mia moglie è quella.
Diglielo.

Madama La Rose
Per servirvi, io son sua sposa.
(Questo Filippo me lo ha anticipato.)

Filippo
Che dite adesso, mi volete morto?

Pomponio
Miettece n’auta bestia, ch’aggio tuorto.

Madama La Rose
(Ah! ah tutto si beve!)

Filippo
Di più. Voi conoscete
Usbanguting Qualching e Inch Subunagh?

Pomponio
Che saccio, sbuagotingo ntingo e ntogo.

Filippo
E’ questo un ricco quakero,
il qual le doppie le misura a staja,
che dal Capo Breton passò in Olanda
ad oprar casa di negozio; adesso
ritrovasi in Parigi, e avendo letto
nel foglio, di Lisetta
il merto sopraumano,
frappoco la sua mano
vi verrà a dimandar; e questi appunto
son quelli forestier che sto aspettando.
Andiam, mia sposa.

Madama La Rose
Andiamo, al suo comando.

Pomponio
Statte bona, e io tengo ‘sto vizio
che senza mazzeca’ m’agliotto pure
‘no chiuovo de carrozza! Ecco Lisetta,
e bene allegra allegra! ‘Sta fraschetta
m’ha fatto piglia’ collera! Abbesogna
darle un timore. Ma, da n’auto canto,
è piccerella, e non sa cchiù che tanto.



Scena undicesima
Lisetta e detto


Lisetta
Papà, notizie belle...
Che sorte! che contento! o benedetta
che sia la vostra testa e la gazzetta!

Pomponio
Pe’ chesso son con te, e dice bene;
ca la mia testa è araba fenice,
ch’una al mondo nce n’è, comme se dice.
Vamme dicenno ‘sta notizia bella.

Lisetta
Un quakeron, ricchissimo signore,
leggendo i pregi miei nella gazzetta
si è di me innamorato, e vien di pressa
qua per farmi signora e quakeressa.

Pomponio
Chesso lo saccio, e addo’ te l’aspettave
‘sta chioppeta de mele?
Vi’ mo si le gazzette
non fann’utile al corpo? Io so’ommenone,
e per questo il mio nome
sino al ciel di Saturno,
pe’ l’aria ha de vola’ comm’a’ ‘no sturno.

Lisetta
Papà, quando poi sposa
sarò del quakeron, mi vederete
più seria, e tesa tesa
caminare così, e nel vedermi,
quando passo in Olanda
mi loderanno appieno
la Schelda, l’Ocean, la Mosa e il Reno.
Ed in Bergopzom ed in Mastrik
quando son salutata
m’abbasso tutta un pezzo, e poi m’inalzo
e con un mio sostegno il più galante
addidumister dico, e passo avante.

Pomponio
Oh figlia bella mia!
Comme tenive ‘ncuorpo
‘sta carta geografica,
e papà tujo non sapeva niente?

Lisetta
(Filippo m’insegnò subitamente.)

Pomponio
Ma n’auta vota non t’arrescare
d’abburla’ il genitor, per vendicarti
ca te mettette dint’a la gazzetta,
si non nc’abbusche quacquaressa, e bona
dicite «Io non boglio altro
che Filippo, Filippo.»
E chillo sfortunato
di Filippo fingea, ch’era ‘nzorato.

Lisetta
Che, ammogliato Filippo?
Filippo maritato?
Filippo ha moglie? Come
s’è ammogliato Filippo?

Pomponio
Comme? Comme s’ammogliano
tutte l’auti Filippe de lo munno
che maravaglia? poco m’è mancato
e mme trovave porzì a me ‘nzorato.

Lisetta
(Ah scellerato! ah perfido!
Ah traditor!) E a voi chi ve l’ha detto?

Pomponio
Chi me l’ha ditto? La mogliera soja
ch’ha parlato con’ mmico
ma ccai, e isso pure che co’ chella
aunito se ne jette alliegro, alliegro.

Lisetta
(O ciel... che colpi al core.
Che rabbia! che veleno! tutto il sangue
par mi si gela!)

Pomponio
Tu che te sentisse
veni’? Lise’, qua’ simpeca?

Lisetta
No, no.

Pomponio
Comme no? Tu me pare
ch’aje perzo il tuo colore burgenzatico,
e schitto ‘nfaccia tiene, po’ al contrario,
sto poco de rossetto ausiliario.
Va’, statt’allegramente,
mo vene il quacquerone...

Lisetta
Non me lo nominate
che divento una furia; e ve l’anticipo:
appena che lo vedo
gli corro addosso e gli sgraffigno il viso;
presto, subito, adesso
voglio partir, che, sulla mia parola,
se non venite, me ne vado sola.

Pomponio
Aspe’... oh bennaggioje! io creo ca mammeta,
quann’era prena a te jett’a bedere
li pazze a Averza, po’ venne a figliare
e me facette a te, che pe’ cervelle,
‘ncapo nce tenarraje doje mozzarelle.
Tu mo n’aje ditto ccà, ca lo volive?

Lisetta
Ed or vi dico che più non lo voglio.

Pomponio
E che buo’, che pe’ Franza
mi chammano sul muso
gazzettante falzario e patre intruso!

Lisetta
Vi chiamin come vogliono. No ho detto
e no sarà; io sono
una di quelle donne
che al mondo si dicono ostinate.

Pomponio
Ma saje ca nce so’ chelle
che al mondo po’ se dicono mazzate?
E già me so’ sagliute
i paterni vapori; tiene mente
comme so’ fatto brutto
e miettete a tremma’. Gue’, non di’ manco
cchiù ‘na parola, sa’? Te sia pe’ regola,
che addeventato n’aseno so’ mone,
ogne parola conta un scoppolone.

Lisetta
Io non parlo.

Pomponio
E perché mo aje parlato?

Lisetta
Io non ho detto niente.

Pomponio
E torna! Vocca
non aje d’aprì.

Lisetta
Chi apre
bocca...

Pomponio
Oh mmalora! io che t’ho ditto?

Lisetta
Oh bella!
Voi sempre state a fare
cià, cià, cià, cià, cià, cià, e poi mi dite
ch’io parlo.

Pomponio
A me se dice
cià, cià, cià, cià, cià, cià? e io mo proprio
te lo boglio sonà’.

Lisetta
(fugge)
Uh papà mio...
i scoppoloni a me?

Pomponio
A te, ch’a chi?

Lisetta
A Lisettina vostra?

Pomponio
A Lisettina mia.

Lisetta
A Lisettuccia.

Pomponio
A Lisettuccia.

Lisetta
Ma se sol per questa volta
farete tutto quel che piace a me,
di sbagliarla pericolo non v’è.

Pomponio
Ben, di’ tu ch’ho da fa’, tu mi consiglia
comme tu foss’il padre, e io la figlia.

Lisetta
E giusto per balordo non passare
tutto quel che dico io dovete fare.

Pomponio
Pe’ da’ gusto a la signora,
ch’ho da fa’ vorria sapere?

Lisetta
Voi dovete ognor tacere,
e a me sola lasciar far.

Pomponio
Ma si vedo?

Lisetta
Si fa il cieco.

Pomponio
Ma si sento?

Lisetta
Si fa il sordo.

Pomponio
Signornò, non te l’accordo,
vede’ voglio, e ho da parlar.

Lisetta
Passerete per balordo,
vi farete corbellar.

Pomponio
Alle corte: no me state
a guasta’ tutt’i miei piane
o me scappa...

Lisetta
Che vi scappa?

Pomponio
‘No schiaffone da ‘ste mane.

Lisetta
Via, mio padre, vi calmate.

Pomponio
Ma nce vonno le mmazzate.

Lisetta
No, mio padre, mio sostegno,
se son buona ognun lo sa.
Ma se ognor mi fate oltraggio,
morir posso...

Pomponio
Buon viaggio.

Lisetta
Voi vedete il mio lamento,
senza aver di me pietà.

Pomponio
Nel vederla già me sento
porzì l’uocchie lammicca’.

Lisetta
Seguitate a minacciarmi!
Maltrattarmi, spaventarmi.

Pomponio
Viene a tata.

Lisetta
Son sdegnata.

Pomponio
Lisettuccia.

Lisetta
Non ci vengo.

Pomponio
Lisettina.

LisettaNo, papà.
Per placarmi aver vogl’io
cento amanti ognor d’intorno,
far la matta nott’e giorno,
e mai quakeri sposar.
(Con i padri di tal fatta,
ecco qui come si fa.)

Pomponio
E ba’ apara ‘ste cervella,
fa’ capace a ‘sta frascona,
ogge affé chessa briccona,
quacche guaje me fa passa’.
E’ mia figlia nata matta.
E cchiù matta morarrà.
(Via.)



Scena dodicesima
Madama, Traversen, Doralice, Anselmo ed Alberto


Madama La Rose
Stiamo a guardar, che ci sarà da ridere.

Traversen
Curioso spettacolo
son proprio i finti quakeri.

Anselmo
Ho timore
che la burletta non si farà tragedia.

Doralice
(Né parlar posso a chi parlar vorrei.)

Alberto
Possibil che costei
sia figlia al sior Pomponio,
e destinata al quakero in isposa.
vediamo come va cotesta cosa.

Madama La Rose
Su, dentro ad osservar le belle scene.

Anselmo
Il ciel lo facci che finiscan bene.
(Viano.)



Scena tredicesima
Lisetta e Pomponio, Filippo da quakero, ascoso sotto folta perucca che scende sulle spalle e sugl’occhi, seguito da altri quakeri


Pomponio
Priesto miettete teseca, e in sussieguo;
le bi’? mo se ne traseno
a passe decestunia, statt’attiento
a fa’ l’obbreco tujo, e de non fare
fa’ cattiva figura al genitore.

Lisetta
L’avrà da far con me quel traditore.

Filippo
Bondì te pater, - ve salutingh.

Pomponio
Bondì te figlio, - te salutingh.

Filippo
Bondì te fillis, - ve salutingh.

Pomponio
Non buo’ risponnere - di salutingo,
o mo te mollo - ‘no scoppolingo,
che la teninga - te fa vasa’.

Coro
Te pomponie, te Lisette inghinar,
quakerà, quakerà.
Bon pater, bel filles
quakerà, quakerà.

Filippo
Te Pomponie Ital nazion?

Pomponio
Sempre ai vostri comandonio.

Filippo
Te olandese intellingin?

Pomponio
Signornò, no intelligir.

Filippo
Italiano y provar.

Pomponio
Accossì saccio parlà.

Lisetta
(Vien, ti vo’ gli occhi cavar.)

Filippo
La tua mano stringhe quella
di Berlic Berloc ton ton.

Pomponio
Chià... malora troppo onore.

Filippo
Cherimonie il quakerone
non conosce, non amar.
La tua figlia gazzettata
già lo so, che appunto è quella.

Pomponio
Sissignore, io l’ho stampata.

Filippo
Mi sentito penetrata
di sua grazia e sua beltà.

Pomponio
Don Berloc, mme consolate,
questa è tutta sua bontà.

Lisetta
Ah di dargli due graffiate
brucio or or di volontà.

Coro
Fortunate e buon papà,
figlia ha tante rarità.

Pomponio
Tutta vostra gran bontà,
o miei cari quakerà.
Dunque spiccia, si te pare.

Filippo
I non face gran parole,
e la sposa quando vuole.

Pomponio
Va’, fa’ priesto figlia mia,
a chi piense non se sa.

Lisetta
Che voi siete un imprudente,
non si sa chi diavol sia,
che la gente bene a fondo,
convien prima esaminar.
D’impostori è pieno il mondo,
hanno facce da ingannar.

Filippo
(Ecco tutta sconquassata,
la mia machina s’è già!)

Pomponio
De ‘sta figlia innamorata
lo sa il ciel s’io son papà.

Lisetta
Or quel volto di briccone
ti vo’ tutto sgraffiar.

(Qui escono Doralice, Anselmo, Madama la Rose e Monsieur Traversen.)

Pomponio
Vi’ ca chisso è quacquarone,
ca nce po’ precipita’!

Alberto
La sua figlia io non comprendo
se sia questa o quella là!

Doralice
Più per quel d’amor m’accendo
senza averne volontà.

Lisetta
(Ciel, che feci! troppo ardita
fui con quel che ho sempre amato!
Ah me stessa avrò tradita,
forse, oh Dio! se reo non è!)

Filippo
(Ahi qual tetro orror mi assale!
Oh che tremito mi viene!
Sono in odio al caro bene!
Come più placarla, oimè!)

Alberto
(Di stupor per quel che veggo,
dubbio il cor mi balza in seno!
Questo dì pavento appieno
che fatal non sia per me.)

Pomponio
Le mazzate oltramontane
mo avarraggio da prova’.
Chella llà menò le mmane,
e lo gnore ha da paga’.

Doralice
Son stordita a tanto eccesso,
e sa il ciel che n’avverrà.

Madama La Rose
Gran disturbi per adesso
prevedendo io sto di già.

Tutti
Ah che ormai tra il finto e il vero
già traballa il mio pensiero!
E lo sdegno ed il timore
mi sta l’alma ad agitar.

Filippo
(Ah non posso il mio furore
più calmar per verità.
Sul suo matto genitore
la vendetta or piomberà.)
Vecchel molh tirtà lulà
sangue, sangue io bramo qua.

Tutti
Ma calmatevi, cospetto!
Questo è un chiasso maledetto,
tanto strepito, signori,
in locanda non si fa.

Pomponio
Ma fenimmola a mmalora,
ca chiù capo n’aggio affatto.
Che mmalora v’aggio fatto,
o miei cari quacquarà?

Coro e Filippo
Quel ribaldo, quel briccone,
quel Pomponio furfantone
morto al suol cader dovrà.
 


2. Akt Zurück zu: Libretto

Atto secondo ritorna a libretto



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© DRG, 18. März 2001