Atto secondo

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Vaste stanze sotterranee, dove Zenobia avrà riposto i suoi tesori; scala tortuosa che vi dà l’accesso, e diverse altre entrate.



Scena prima
Donzelle e Grandi del regno in attitudine di spavento e di estrema agitazione


Grandi del regno
Del Cielo, ahi miseri!
piombata è l’ira.

Donzelle
Vinta è Zenobia.
Cadde Palmira.

Tutti
Ceppi e ritorte,
rovina e morte,
il fato barbaro
ci preparò.

Grandi
O Dei! ricovero
più non rimane.

Donzelle
Per tutto innondano
l’armi romane.

Tutti
Ed il furore
del vincitore
forse in Zenobia
si consumò.

Grandi
Dolente popolo,
chi ti mantiene!

Donzelle
Cadente patria,
chi ti sostiene!

Tutti
Ceppi e ritorte,
rovina e morte,
il fato barbaro
ci preparò.



Scena seconda
Zenobia senz’elmo, tutta dimessa, comparisce sulla sommità delle scale e discende



Zenobia
Tutto è perduto. Per Augusto e Roma
il Ciel si dichiarò. Cadde Palmira,
ed alla sua caduta invan sostegno
l’Asia intera si fece: in un sol giorno
l’Asia intera fu vinta... oh pena! oh scorno!
(rivolgendosi ai Grandi e alle donzelle che la circondano)
Miseri... ahimè! non resta
patria per voi... la patria è serva, e servi
i figli vostri... unica speme è morte...
Nulla d’amaro ha questa,
quando toglie all’infamia... ed io... ma parmi
udir d’armati e d’armi
lo strepito appressar... giunge Aureliano...
Ove fuggo?.. ogni via
chiusa al mio scampo io miro...
Lassa! dove mi celo? ove m’aggiro?

(Esce Aureliano: tutti affollano supplichevoli innanzi a lui.)



Scena terza
Aureliano fa cenno a loro d’alzarzi e di partire, indi si volge a Zenobia, la quale sarà in disparte, disdegnosa, ecc



Aureliano
Invan, Zenobia, in queste
remote stanze il tuo rossor nascondi:
ti segue in ogni lato
l’ira di Roma, e in pochi istanti fia
pubblico il tuo rossore e l’ira mia.

Zenobia
Vincesti, Augusto; è giunta
Palmira in tuo poter: l’Asia sconfitta
piega la fronte incatenata e doma;
ma per Augusto e Roma
il maggior a domar nemico avanza...

Aureliano
Un nemico? e qual è...

Zenobia
La mia costanza.

Aureliano
Audace! e che pretendi! esci, e d’intorno
mira in un breve giorno
quanta strage de’ tuoi fece il mio brando:
quando in catene, e quando
strascinata sarai sul Campidoglio,
allor, superba, deporrai l’orgoglio.

Zenobia
Lieve impresa non è: poche finora
di Asia Regine de’ romani duci
il trionfo adornar; l’odio nel mondo
contro il Tebro oppressor vive tutt’ora;
vi son Cleopatre e Sofonisbe ancora.

Aureliano
Se udir volessi, ingrata,
la maestà di Roma, in pochi istanti
dovrei punirti; ma per te mi parla
un’altra voce più soave al core:
puoi disarmar, Regina, il mio furore.
Se libertà t’è cara,
se brami regno e pace
cedi, abbandona Arsace:
io ti offro gloria e amor.

Zenobia
Taci: è mia gloria sola
d’Arsace il puro affetto:
se vivo in quel bel petto
sono Regina ancor.

Aureliano
Lo fosti.

Zenobia
Ancor lo sono.

Aureliano
Tutto perdesti.

Zenobia
Il trono.

Aureliano
Insana! e che t’avanza?

Zenobia
Fama, virtute e onor.

Aureliano
(Prima costanza mia,
invan ti chiamo al cor:
benché crudel mi sia
mi piace il suo rigor.)

Zenobia
(Prima costanza mia,
non ti partir dal cor:
benché fatal mia sia
non curo il suo rigor.)



Scena quarta
Publia e Licinio, frettolosi, e deti



Publia e Licinio
Corri Augusto, Arsace è sciolto.

Zenobia e Aureliano
Per qual mano?.. oh Ciel!.. che ascolto?

Publia e Licinio
Improvviso Oraspe armato
di gran turba secondato
il suo carcere assalì.

Aureliano
Ed il prece?

Zenobia
Oh Dei!

Publia e Licinio
Fuggì!

Aureliano
Accorrete, la fuga impedite.
Non perdete, guerrieri, un istante.

Zenobia
Santi Dei, l’opra vostra compite,
ed in salvo guidate l’amante.

Aureliano
Non sperarlo, fra pochi momenti
a’ suoi lacci ritorno farà.

Zenobia
Il favore degli astri clementi
al tuo sdegno sottrarlo saprà.

(Licinia parte con guerrieri.)

Aureliano
Non sperar che si cangi tua sorte;
sarà breve il tuo folle contento:
quanto scende il castigo più lento,
trema ingrata, più crudo sarà.

Zenobia
Ah! compensa l’acerba mia sorte
questo nuovo improvviso contento:
venga pure l’estremo momento,
men crudele la morte sarà.
(partono)





Amena collina alle sponde dell’Eufrate: al fondo varie montagne scoscese con cadute d’acqua che si perdono nel fiume.
Varie capanne di pastori sparse qua e là.



Scena quinta
Pastori e pastorelle a gruppi sparsi per la scena, in festa e in gioia



Pastori
L’Asia in faville è volta,
combattono i possenti,
sol tra pastori e armenti
discordia entrar non sa.

Tutti
O care selve, o care
stanze di libertà!

Pastorelle
Non fia che ferro ostile
brillar fra noi si veda,
ché non alletta a preda
la nostra povertà.

Tutti
O care selve, o care
stanze di libertà!

Pastori
Tranquilli il sol ci lascia
allor che si ritira.

Pastorelle
Tranquilli il sol ci mira
quando ritorno fa.

Tutti
O care selve, o care
stanze di libertà!
(si allontanano tutti, e si vedono di tempo in tempo in distanza come occupati a qualche campestre lavoro)



Scena sesta
Arsace discende da una strada montuosa, avviandosi all’amena collina


Arsace
Dolci silvestri orrori, amiche sponde!
Come è soave dopo tanti affanni
l’aura che da voi spira! ahimè! lontano
dalle umane grandezze in seno a voi
volentieri vivrei
i pochi giorni miei; ma più possente,
amor mi sprona all’armi, e a voi m’invola
colei che nel mio seno imperio ha sola.
Perché mai le luci aprimmo,
caro bene, in regia cuna,
se ci toglie la fortuna
quanto a noi promise amor?
Più felice in mezzo ai boschi
al tuo fianco, oh Dio! vivrei:
nel tuo core io regno avrei,
tu l’avresti nel mio cor.
Qual lieto suono!..



Scena settima
I pastori che si era dispersi entrano di nuovo in iscena



Arsace
Ah! son pastori... Oh! voi
fortunate famiglie! almen son puri
fra questi ameni chiostri
come l’onda tranquilla i giorni vostri!
(Al vedere un guerriero i pastori restano sbigottiti; Arsace di un cenno li rassicura.)

Un pastore
Ah che vedo? Un guerriero! O tu che in questo
solingo albergo arrivi, e mostri in volto
sembianze di pietà, quali novelle
rechi a noi di Palmira?

Arsace
Infauste nove...
Tutto è perduto...

Un pastore
E Arsace?

Arsace
O buon pastore!
Non chiedermi di lui...

Un pastore
Tu gemi... Oh! parla...
(avvicinandosi ad Arsace, e ravvisandolo)
Dimmi... che miro?.. qual aspetto... Dio!
Di quella voce il suono...
Ah! prence...

Arsace
Non t’inganni. Arsace io sono,
sì, vinto e fuggitivo
vedi di Persia il prence...

Un pastore
A piedi tuoi
ci prostriamo, signor.

Tutti i Pastori
Resta fra noi.

Arsace
No! non posso al mio tesoro
sacri sono i giorni miei,
e ch’io spiri appresso a lei
vuole amore, il vuole onor.



Scena ottava
Oraspe con gran numero di Palmireni e Persiani



Oraspe e Guerrieri
Vieni, o prence: è già compita
di Palmira la rovina:
cadde, oh Dio! la tua Regina
in poter del vincitor.

Arsace
Ah! che sento... ahimè, che pena!
Ah! si corra... o cor, costanza!
Perché darmi, o ciel, speranza,
e piombarmi in nuovo orror!

Pastori
Resta, o prence: ah contro il fato
non ha forza uman valor.

Oraspe e Guerrieri
Vinceremo e Roma e il fato
se ci guida il tuo valor.

Arsace
Non lasciarmi in tal momento,
bel pensier di gloria e amor.
Se mi segui nel cimento
lieta è l’alma e balza il cor.
(volgendosi ai guerrieri)
A seguitarmi in campo
ognun di voi si appresti:
abbia Palmira scampo,
salva Zenobia resti,
e forse l’Asia intera
si tolga a Roma ancor.

Pastori
Ah! se ritorni in campo
forse non hai più scampo,
e con Zenobia perdi
i tuoi bei giorni ancor.

Arsace e Guerrieri
Ah! sì, ci guida in campo,
trovi Zenobia scampo,
e colla patria resti
libera l’Asia ancor.




Atrio della reggia abitata dal vincitore.



Scena nona
Aureliano e Publia



Publia
La sicurezza tua, perdona Augusto,
esser potria fatale. E’ manifesto
al popol tutto omai,
che Arsace i vinti aduna, e tu nol sai!

Aureliano
Gl’aduni pur; che fia perciò? qual ponno
forza opporre al destin le genti dome?

Publia
Molta, o signore: il lor coraggio.

Aureliano
E come?
Non fugge Arsace! oh fugga pur: mi basta,
che a me resti Zenobia. Io l’amo, o Publia,
e se consente amarmi,
il braccio punitor fia che disarmi.

Publia
Ma non vedesti? ella t’abborre, e solo,
benché misero, adora
di Persia il prence. Ah, sai che in nobil petto
la fiamma che l’accende eterna dura,
anzi s’accresce amor colla sventura.
Ecco Zenobia...

Aureliano
Su quel cor si tenti
l’ultimo sforzo.



Scena decima
Zenobia, indi Licinio, e detti



Aureliano
E’ tuo, Zenobia, ancora
questo trono, se vuoi; placati, e meco
a regnar sulla terra...

Licinio
Piomba Arsace, signor, a nuova guerra.

Publia
(Non tel dicea?)

Aureliano
(Che sento!)

Zenobia
(Io spero ancora.)

Aureliano
Senza frappor dimora
va’, Licinio, a punir la nuova offesa.

Licinio
Ardua è, signor, l’impresa:
de’ fuggitivi Persi
adunò le falangi, e forti schiere
s’accompagnar per via. Come torrente
che soverchia la sponda,
urta i Romani e la cittade inonda.

Publia
(Oh periglio!)

Aureliano
(Oh furor!)

Zenobia
(Oh gioia!)

Licinio
Avanti
il popolo gli corre, e freme, e seco
armato entra in Palmira; all’improvviso
colte le tue legioni, oppor difesa
tentaro invan, volte ne andaro in fuga.
Estremo è il danno, e il braccio tuo richiede.

Aureliano
Corrasi... Io fremo... A me rapirti ei crede?
Fuggia quel vile! bramerà ben tosto
che al mio furor nascosto
l’avessero per sempre
i libici deserti... Oh! qual gli appresto
supplizio atroce!... Ultimo oltraggio è questo.
Più non vedrà quel perfido
del nuovo giorno i rai:
altro che il freddo cenere,
barbara, non avrai
il tuo dolor da pascere,
il tuo fatale amor.
(Zenobia rimane spaventata; Aureliano la guarda, e comincia ad intenerirsi.)
Ma tu piangi! Ah! sì, lo vedo,
di placarmi hai tempo ancor.
I suoi giorni a te concedo
se mi doni il tuo bel cor.

(Odesi gran tumulto di dentro e voci che confusamente gridano.)

Coro
Arrestate... olà... vendetta...
Che spavento!.. che timor!

Publia e Licinio
Senti... Augusto... va’... ti affretta;
forse Arsace è vincitor.

Aureliano
Sì, vendetta! assai d’inciampo
fu l’indegna al mio valor...
Trema... attendi... smanio, avvampo,
mille furie sento in cor.
(parte minaccioso con Licinio)



Scena undicesima
Publia e Zenobia



Publia
Vedesti! oh come irato
parte Aureliano da noi; per te pavento,
e tremo per Arsace.

Zenobia
Avvi nel cielo
un Nume che combatte
degl’oppressi a favor contro Aureliano.

Publia
Nume non v’ha contro il destin romano.
Ma!.. s’appressa alla reggia
d’armi fragor!..

Zenobia
Suono guerrier s’ascolta...
Non tradirmi una volta
oh speranza fallace!

Publia
Corrasi; ah! forse è già vicino Arsace.
(parte)



Scena dodicesima
Zenobia, indi Oraspe



Zenobia
Già manca il dì: Numi, che imploro, ah! fate
che quest’orribil notte
l’ultima sia de’ mali miei... più presso
il tumulto si fa... che stato è il mio!
Che orror!.. ma... veggo, oh Dio!
Sbigottiti fuggir veggo i custodi...
Un guerrier s’avvicina...
Oraspe...

Oraspe
Ah! ti ritrovo, o mia regina!
Fuggi, vien via con me.

Zenobia
Dimmi... d’Arsace
che fu?

Oraspe
Combatte ancor, ma la vittoria
cerca invano afferrar; io disperato
infino a te la via m’apersi; ah vieni...
pria che tutto si perda, i giorni tuoi
salva, e ti serba a miglior fato.

Zenobia
Oh pena!

Oraspe
T’affretta...

Zenobia
Ove fuggir!.. mi reggo appena.





Luogo remoto presso la reggia. Notte con luna.



Scena tredicesima
Arsace, indi Zenobia ed Oraspe


Arsace
Inutil ferro!.. che fai meco?.. Io sono
un’altra volta fuggitivo e vinto.
Oh Zenobia, per te! - Notte funesta,
addensa i veli tuoi: lume di giorno
mai più risplenda alla mia trista vita,
se Zenobia è per sempre a me rapita.
Alcun si appressa... Ah! fui scoperto...
(si ritira in disparte)

(Esce Zenobia con Oraspe.)

Oraspe
Al mio
braccio ti reggi.

Zenobia
Ove mi guidi?

Oraspe
In salvo,
se lo concede il Ciel.

Zenobia
Tremante e incerta
fra quest’ombre m’aggiro.

Arsace
Qual voce il cor mi scosse!

Zenobia
(appresandosi)
Ah! qual sospiro!

Arsace
Zenobia!

Zenobia
Arsace!

Arsace
E’ dessa...
(correndo a lei con gioia)

Zenobia
Oh gioia!

(Intanto Oraspe si aggira in fondo alla scena come per esplorare e si perde.)

Arsace
Alfine
ti stringo a questo petto.

Zenobia
Pur ti abbraccio una volta, o mio diletto.
Mille sospiri e lagrime
conforta un sol contento.
Per così bel momento
si può soffrire ancor.

Arsace
Cari mi sono i gemiti
sparti da te, lontano.
Ah che non piansi invano,
se a te mi rende amor.

Zenobia
Dolce notte!

Arsace
Amiche tenebre!

Zenobia
Sempre insieme!

Arsace
Uniti ognor!
Se la tua bella immagine
sfidar mi fe’ la sorte,
io sfiderò la morte
or che ti stringo al cor.

(Si sente strepito d’armi. I due amanti corrono ansiosi a vedere e ritornano.)

Zenobia
Giunge Augusto...

Arsace
Un’altra via...
(per avviarsi alla sinistra)

Zenobia
Vien Licinio...

Arsace
(disperato)
Il brando ho ancora...
(raccogliendo la spada)

Zenobia
Ah! che fai?

Arsace
Morire in pria...

Zenobia
Teco io moro...

Arsace
(per ferirla)
Ebben, si mora...
Ah! che tento!.. ora funesta!
(allontanandosi precipitoso)

Zenobia
Vibra il colpo.

Arsace
(per ferirsi)
Io solo...

(Aureliano e Licinio sopravvengono seguiti da numeroso drappello con faci. Arsace è trattenuto.)



Scena quattordicesima
Aureliano e detti



Aureliano
Arresta.
Si disarmi il traditor.
(Arsace è disarmato.)

Poca pena, indegni, è morte:
voi vivrete in pianto amaro:
del rossor che vi preparo
sarà Tebro spettator.

Zenobia
Per pietà...

Aureliano
Pietà non sento.

Arsace
Morte io voglio...

Aureliano
No: vivrai.

Arsace
L’onta mia tu non vedrai.

Zenobia
Non godrai del mio rossor.

Aureliano
Ah! perché mai quell’anime
nate non sono in Roma!
Cori sì grandi e intrepidi
invidio all’Asia doma,
e mille ignoti palpiti
calmano il mio rigor.

Zenobia e Arsace
Vivi: saran nostr’anime
esempio al mondo e a Roma;
tutto non resta al barbaro
l’onor dell’Asia doma,
quando il mio cor non palpita,
quando non hai timor.

Aureliano
Entro carcere distinto
li traete, o fidi miei.

Arsace
Infierir tu sai nel vinto,
sei Romano...

Zenobia
E Augusto sei.

Aureliano
Alme audaci! Parti. Va’.

Zenobia e Arsace
Io parto... (oh dolore!)
M’abbraccia, mio bene.
Deh scemi l’orrore
di nostre catene,
l’amor, che seguace
d’entrambi sarà...
(Il pianto s’asconda,
che il seno m’innonda,
che freno non ha.)

Aureliano
(Cotanto valore
sorpreso mi tiene.)
Aggravi l’orrore
di vostre cattene
l’idea che la pace
giammai vi unirà...
(La nova s’asconda
che il seno m’innonda
ingiusta pietà.)
(Partono.)



Atrio come sopra.



Scena quindicesima
Publia sola


Publia
E’ deciso il destino
di Zenobia e dell’Asia. Oh Arsace! o caro
e sventurato Arsace!
Quanto ti costa il tuo funesto amore!
Zenobia il tuo bel core
a me rapisce, a te la vita invola...
Posso salvarti io sola,
e salvarti vogl’io
col sacrificio d’ogni affetto mio.
Non mi lagno che il mio bene
doni ad altra Amor tiranno;
ma soffrir non so l’affanno
di vederlo, oh Dio! spirar.
Goda pur di quella pace
che godere a me non lice;
pur che viva e sia felice
saprò tutto sopportar.




Scena sedicesima
Aureliano con gran seguito, Publia che ritorna, indi Licinio


Aureliano
(Scacciar mi è forza alfine
questo malnato amor... Soli si ascolti
l’offesa maestà: della superba
si abbassi omai l’orgoglio,
mi segua con Arsace al Campidoglio.)

Publia
(Coraggio, o cor; è necessario il passo,
se lo comanda amor.) A’ piedi tuoi
vedi Augusto...
(per inginocchiarsi)

Aureliano
(trattenendola)

Che fai? Publia! che vuoi?

Publia
La tua clemenza imploro;
di Persia il prence adoro
senza speranza io pur; ma non poss’io
soffrir che il tuo rigore
morte o infamia gli appresti. Al mondo e a lui
sommo di tua virtute esempio dona,
ogni oltraggio ti scorda, e gli perdona.

Licinio
Tutti, o signore, di Palmira i Grandi
sul destino tremanti
della vinta città, vengon pietade
ad implorar da te.

Publia
Placati, Augusto.
Tu non rispondi!.. e che ti costa mai
un atto di virtù, perché i miei voti
e d’un popolo intiero il pianto sdegni?

Aureliano
Son quegli audaci di perdono indegni.




Scena ultima
Escono i Grandi del regno: addolorati e supplichevoli si prostrano ad Aureliano, indi Arsace, Zenobia ed Oraspe fra le guardie



Grandi
Nel tuo core unita sia
la clemenza col valor!
Siam tuoi figli. Augusto, oblia
che sei nostro vincitor.

Aureliano
(alle guardie, che partono)
I prigionieri a me.

Grandi
(Che mai risolve?)

Publia
(Che mi lice sperar?)

Aureliano
(Onta non faccia
un estremo rigore al nome mio.
Degna vendetta è un generoso oblio.)
(Escono Arsace, Zenobia ed Oraspe.)
Mirate; ognun per voi perdono implora:
ed d’ottenerlo ancora
speme vi resta. Eterna fede a Roma
in faccia al vinto e al vincitor giurate;
liberi siete, ed a regnar tornate.

Zenobia
(Oh generoso!)

Arsace
(Oh grande!)

Publia
(Oh magnanimo eroe!)

Zenobia
Vincesti. A Roma
giuro salda amistà.

Arsace
Giuro in tua mano
pace al Tebro e tributo ad Aureliano.

Aureliano
Copra un eterno obblio
ogni passato errore:
vi stringa a noi l’amore,
che le vostr’alme unì.

Tutti i cori, Publia, Licinio e Oraspe
Torni sereno a splendere
all’Asia afflitta il dì.

Zenobia
Il giuramento mio
porterò sempre in core;
lo custodisca amore,
che le nostr’alme unì.

Tutti
Torni sereno a splendere
all’Asia afflitta il dì.

Arsace
Amico a te son io,
sarò Romano in core:
serbi il gran voto amore,
che le nostr’alme unì.

Tutti
Torni sereno a splendere
all’Asia afflitta il dì.




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© DRG, 24. März 2001